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Violenza di genere: cronisti laziali e lombardi lanciano decalogo sulle parole da non usare mai

I cronisti laziali e lombardi lanciano un video-decalogo sulle parole da non usare nei casi di violenza sulle donne
Giornalisti (Immagini di repertorio) – CronacaLive ediz. Roma

I cronisti laziali e lombardi hanno creato un video-decalogo con le parole da non usare nei resoconti giornalistici sui femminicidi.

Il Sindacato cronisti romani (Scr) e il Gruppo cronisti lombardi (Gcl) hanno annunciato la loro adesione alla Giornata internazionale contro la violenza sulle donne programmata per domani 25 novembre. Inoltre, proprio per l’occasione, hanno lanciato un video-decalogo contenente tutte le espressioni da evitare nei resoconti giornalistici inerenti i femminicidi, gli stupri, le molestie e, in generale, ogni sopruso legato alla violenza di genere.

Le due maggiori organizzazioni di cronisti, infatti, hanno ribadito la necessità di prestare attenzione alle parole da non usare mai. L’obiettivo è di promuovere un linguaggio rispettoso e consapevole che sia scevro da ogni riferimento a luoghi comuni, pregiudizi, stereotipi maschili e patriarcali.

In sostanza il video-decalogo, scaricabile al link https://bit.ly/3Gf59Ps, vuole dare un contributo alla lotta contro i femminicidi qualificandosi come uno strumento di crescita civile.

La parole da evitare secondo il video-decalogo

L’iniziativa dei cronisti laziali e lombardi si pone sulla stessa linea del Manifesto di Venezia, varato nel 2017, che contiene tutte le indicazioni sul come raccontare la violenza di genere. Infatti il video-decalogo racchiude tutte quelle parole ed espressioni, usate frequentemente da stampa ed emittenti radio-televisive, che sembrano fornire delle giustificazioni agli autori dei femminicidi, quasi degli alibi.

Tra queste la locuzione “in preda a un raptus” che di fatto esclude la premeditazione o “amore criminale”. Chi ama, infatti, non uccide. E ancora: “delitto passionale”, “accecato dalla gelosia”  e le varie qualificazioni attribuite alla vittima (“estroversa”, “vivace”, ecc.) o alle sue attività prima dei fatti (“aveva bevuto”, “passeggiava da sola”, ecc.).

Quest’ultime sono spesso utilizzate dalla difesa in sede processuale insieme ad aggettivi possessivi del tipo “la sua fidanzata” o “sua moglie” impiegati in modo pleonastico.