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La tragica fine di Silvia Da Pont: un enigma risolto dopo anni di silenzio

La vicenda di Silvia Da Pont, una giovane cameriera scomparsa nel nulla e ritrovata morta in circostanze terribili, rimane ancora oggi una tra le storie più oscure e inquietanti del passato italiano. Conosciuta come il caso Candiani, questa storia risale all’ottobre del 1951 e coinvolge una giovane donna, una famiglia rispettabile e un anziano vicino di casa. La scomparsa di Silvia, le circostanze misteriose della sua morte e l’indagine successiva hanno lasciato un’impronta indelebile nella memoria collettiva del paese, rivelando un lato oscuro della società italiana dell’epoca.

La giovane vita di Silvia Da Pont e la sua scomparsa

Silvia Da Pont nacque nel 1930 a Cesiomaggiore, in provincia di Belluno, figlia di una cameriera e un boscaiolo. Dopo aver lavorato a Biella, trovò un impiego stabile come cameriera presso la famiglia Nimmo a Busto Arsizio. I Nimmo, una famiglia rispettabile, la trattavano con dignità e le garantivano uno stipendio adeguato. Quando la famiglia decise di trasferirsi a Roma per lavoro, Silvia fu invitata a seguirli. Prima del trasferimento, Silvia decise di trascorrere un po’ di tempo con la sua famiglia a Cesiomaggiore. Tuttavia, dopo essere uscita di casa per una commissione il 7 settembre 1951, Silvia scomparve senza lasciare traccia.

La scoperta del corpo e l’indagine

Nonostante le ricerche e le indagini, Silvia rimase introvabile. Fu solo il 28 ottobre, quando i Nimmo tornarono a Busto Arsizio per concludere il trasloco, che fu fatta la scoperta raccapricciante. Mentre cercavano in cantina un albero di Natale, i bambini Nimmo scoprirono il cadavere di Silvia. Le indagini rivelarono che la giovane era morta di inedia. Il capitano dei carabinieri Angelo Mongelli prese in mano le indagini e presto le sue attenzioni si concentrarono su Carlo Candiani, un settantenne che viveva nella stessa villetta bifamiliare dei Nimmo.

La confessione, il processo e la sentenza

Dopo essere stato interrogato a lungo, Candiani confessò di aver somministrato a Silvia un mix di vino e narcotici, tenendola in stato di torpore per circa 18 giorni fino alla sua morte. Fu condannato a 25 anni di reclusione per omicidio volontario, ma in appello la condanna fu ridotta a 14 anni per omicidio preterintenzionale. La tragica storia di Silvia Da Pont si concluse con la morte di Carlo Candiani nel carcere San Francesco di Parma nel 1957, dove stava scontando la sua pena.