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La vita e la morte dell’agente Andrea Campagna: Un’analisi approfondita

Il 19 aprile 1979 segna una data nefasta nella storia italiana: la morte dell’agente Andrea Campagna. Membro della DIGOS, Campagna fu ucciso in un attacco che sarebbe stato rivendicato dal gruppo di estrema sinistra Proletari Armati per il Comunismo. Questo articolo offre una visione completa della vita e della tragica fine di Campagna, analizzando gli eventi che hanno portato al suo omicidio e le conseguenze che ne sono seguite.

Il profilo di Andrea Campagna e le circostanze del suo omicidio

Nato nel 1954 a Sant’Andrea Apostolo dello Ionio, Andrea Campagna si unì alla Polizia di Stato, lavorando come autista per la DIGOS di Milano. Il 19 aprile 1979, poco dopo le 14:00, la vita di Campagna fu brutalmente interrotta. Mentre era fuori casa della sua fidanzata, in via Modica, nel quartiere Barona di Milano, fu colpito da cinque proiettili di una pistola .357 Magnum. I suoi assassini fuggirono a bordo di una Fiat 127.

Le rivendicazioni dell’omicidio e la percezione errata di Campagna

Il gruppo Proletari Armati per il Comunismo rivendicò l’omicidio di Campagna come ritorsione alle operazioni di polizia seguite all’omicidio del gioielliere milanese Pierluigi Torregiani. Nel loro volantino, descrissero Campagna come un “torturatore di proletari“, un’affermazione lontana dalla realtà, dato che Campagna svolgeva le funzioni di autista. Tuttavia, a causa della sua presenza sul luogo dell’arresto di alcuni sospetti dell’omicidio Torregiani, ripresa dalle telecamere, il gruppo era convinto del suo coinvolgimento.

Le indagini, il processo e le condanne

Nel giugno 1979, fu scoperta una pistola .357 Magnum a Milano. Gli investigatori sospettarono un collegamento tra l’omicidio di Campagna, l’omicidio del maresciallo Antonio Santoro a Udine nel 1978 e l’omicidio Torregiani. Nel 1985, cinque persone furono condannate all’ergastolo per l’omicidio di Campagna: Cesare Battisti, Gabriele Grimaldi, Luigi Bergamin, Paola Filippo e Claudio Lavazza. Battisti, ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio, riuscì a fuggire dal carcere di Frosinone nel 1981. Altri cinque imputati ricevettero pene detentive di trent’anni, mentre a Sante Fatone e Pietro Muti furono concessi sconti di pena significativi.