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Il tragico destino del Procuratore della Repubblica, Fedele Calvosa: un caso ancora aperto

L’8 novembre 1978 è una data che rimarrà impressa nella storia italiana per l’omicidio di Fedele Calvosa, allora Procuratore della Repubblica. L’assassinio, avvenuto sotto la presidenza di Sandro Pertini, è stato descritto come un attacco brutale alla Repubblica democratica nata dalla Resistenza, mirato a distruggere le libertà dei cittadini e l’ordinamento civile. Per comprendere meglio la vicenda, è necessario fare un passo indietro e ricostruire la vita e la carriera di Calvosa, che ha lasciato un segno indelebile nella storia della magistratura italiana.

La vita e la carriera di Fedele Calvosa

Fedele Calvosa, nato a Castrovillari, in provincia di Cosenza, il 3 ottobre 1919, era figlio di un netturbino e di una casalinga. Dopo aver conseguito la laurea a Napoli, Calvosa entrò in magistratura, prestando servizio prima al Tribunale di Castrovillari e successivamente a Ceccano, Catanzaro e Roma. Nel 1972, fu nominato Procuratore Capo al Tribunale di Frosinone, una posizione che avrebbe mantenuto fino al giorno della sua tragica scomparsa.

L’omicidio di Calvosa: una ricostruzione degli eventi

La mattina dell’8 novembre 1978, Calvosa venne assassinato in un agguato mentre si dirigeva al suo ufficio al Tribunale di Frosinone. A bordo di una Fiat 128 blu, fornita dallo Stato, Calvosa fu ucciso da un commando di terroristi che aprirono il fuoco sulla sua auto. Oltre a lui, persero la vita anche l’agente penitenziario Giuseppe Pagliei e l’impiegato ministeriale Luciano Rossi. Un proiettile colpì anche uno dei membri del commando, Roberto Capone, che fu lasciato dai suoi compagni in un bosco vicino.

Le conseguenze dell’omicidio e le condanne

Il commando, appartenente al gruppo delle Formazioni Comuniste Combattenti, fu successivamente identificato e processato. I tre brigatisti, Maria Rosaria Biondi, Nicola Valentino e Paolo Ceriani Sebregondi, furono condannati all’ergastolo. Nessuno di loro ha mai espresso rimorso per quanto commesso. Valentino è rimasto in carcere per 26 anni, prima di iniziare a collaborare con una casa editrice. Biondi ha scontato 20 anni di reclusione, mentre Sebregondi è riuscito a fuggire dal carcere di Parma, vivendo a lungo in Africa e poi stabilendosi a Parigi, dove ha insegnato all’università La Sorbona. In ricordo di Calvosa, la strada che porta al Tribunale di Frosinone porta oggi il suo nome.