Il 9 maggio 1997, Marta Russo, studentessa di giurisprudenza dell’Università La Sapienza di Roma, è stata tragicamente colpita da un colpo di calibro 22 mentre si trovava nel cortile dell’università insieme all’amica Jolanda Ricci. Il colpo, di calibro 22, ha causato gravi danni alla nuca di Marta, portandola alla morte dopo cinque giorni di agonia nonostante i tentativi disperati di salvarla.
Le indagini e il processo complessi
L’omicidio di Marta Russo ha suscitato grande clamore e interesse mediatico a causa della complessità del caso. Le prime fasi delle indagini non sono riuscite a individuare un movente chiaro, lasciando spazio a varie ipotesi tra cui lo scambio di persona, il “delitto perfetto”, il terrorismo e persino un tragico incidente. La mancanza di chiarezza nel comportamento dei pubblici ministeri ha sollevato polemiche riguardo alla loro condotta investigativa.
La dynamica dell’omicidio svelata
Nel momento in cui Marta è stata colpita, passeggiava con l’amica nel cortile dell’università quando improvvisamente è caduta a terra. Inizialmente si è pensato a un semplice incidente, ma la scoperta del proiettile ha svelato la crudele verità. Il proiettile proveniva dall’aula 6 del dipartimento di Filosofia del Diritto, confermando che il colpo era stato sparato dall’alto a sinistra.
Lo svolgimento del processo e le controversie
Le indagini hanno portato a un lungo processo in cui diversi nomi sono stati coinvolti tra gli indagati. Inizialmente sospetti ricadevano sul bibliotecario Rino Zingale, ma successivamente le attenzioni si sono concentrate su Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro, due giovani assistenti. Le testimonianze e le prove hanno generato dibattiti accesi, con l’accusa che puntava a dimostrare un concorso in omicidio volontario con dolo eventuale.