Due psicologhe coinvolte nel caso di Alessia Pifferi, la milanese di 38 anni accusata di aver causato la morte della figlia di 16 mesi per negligenza, sono ora sospettate di falso e favoreggiamento. Le professioniste, che si sono rifiutate di rispondere alle domande del pubblico ministero, sono coinvolte in un secondo filone d’indagine che ipotizza una possibile manipolazione della perizia psichiatrica dell’imputata.
Le professioniste rimangono in silenzio di fronte al pubblico ministero
Le due psicologhe indagate hanno deciso di non rispondere alle domande del pubblico ministero. Sono coinvolte in questo secondo filone d’indagine insieme ad altre due colleghe e all’avvocata di Alessia Pifferi. Una delle indagate è stata ascoltata in mattinata, ma ha scelto di rimanere in silenzio. Un comportamento simile è stato adottato anche dalla seconda professionista, convocata nel pomeriggio. Anche le altre due colleghe indagate non avevano risposto agli interrogatori nei mesi precedenti.
Presunta manipolazione della perizia psichiatrica di Alessia Pifferi
Secondo le ipotesi degli inquirenti, le professioniste avrebbero manipolato Alessia Pifferi per aiutarla a ottenere una perizia psichiatrica. Questa accusa fa parte di un secondo filone d’indagine che si affianca a quello principale, centrato sulla responsabilità di Alessia Pifferi nella morte della figlia. L’ipotesi è che le professioniste avrebbero potuto influenzare il risultato della perizia, favorendo così l’imputata.
La difesa di Alessia Pifferi raccoglie nuovi documenti e chiede ulteriori verifiche
Intanto, la difesa di Alessia Pifferi ha raccolto documenti scolastici che dimostrerebbero come la donna avesse avuto bisogno di un insegnante di sostegno durante la scuola media. Questo elemento potrebbe essere utilizzato per richiedere un’ulteriore integrazione della perizia psichiatrica, che ha già stabilito che l’imputata è capace di intendere e di volere. La prossima udienza è fissata per il 12 aprile. Inoltre, dagli accertamenti del pubblico ministero, emerge che una delle psicologhe indagate, in servizio all’ospedale San Paolo e nel carcere di San Vittore, avrebbe predisposto “i relativi protocolli con i ‘punteggi già inseriti’” nel test di Wais, da cui è emerso un grave deficit cognitivo dell’imputata. Gli inquirenti avrebbero recuperato anche il documento precompilato con i punteggi.