Il 4 agosto 1989, nella tranquilla città di Parma, la famiglia Carretta sparì senza lasciare traccia. Giuseppe Carretta, la moglie Marta Chezzi e i figli Ferdinando e Nicola non furono più visti da quel giorno. Solo nel 1998, la verità emerse in modo scioccante: Ferdinando Carretta confessò di aver sterminato la sua famiglia. Questo articolo ripercorre la storia di questo tragico evento e delle sue conseguenze, che hanno segnato per sempre la storia della cronaca nera italiana.
Le circostanze dell’omicidio e le indagini
Nel 1989, la famiglia Carretta era composta da Giuseppe, Marta, Ferdinando e Nicola. Giuseppe, un rispettato ragioniere, la moglie Marta, e i figli Ferdinando, 27 anni, e Nicola, 23 anni, vivevano in una villetta a Parma. Nicola, il figlio minore, aveva problemi di tossicodipendenza e la famiglia era spesso al centro di litigi e discussioni. Ferdinando, all’epoca 27enne e ex militare, decise di porre fine a questa situazione acquistando una pistola con il suo porto d’armi. Il 4 agosto del 1989, Ferdinando uccise il padre, la madre e il fratello, e successivamente occultò i corpi.
La fuga di Ferdinando e il depistaggio delle indagini
Dopo aver commesso il triplice omicidio, Ferdinando riuscì a depistare le indagini e a fuggire all’estero. La scomparsa della famiglia fu denunciata solo un mese dopo da Adriana Chezzi, sorella di Marta. Inizialmente, le forze dell’ordine pensarono a una fuga volontaria della famiglia, forse legata a un presunto ammanco di fondi nell’azienda in cui lavorava Giuseppe. Ferdinando, nel frattempo, si era trasferito a Londra, dove riuscì a vivere nell’anonimato per diversi anni, finché nel 1998 fu fermato dalla polizia durante un controllo.
La confessione e le conseguenze legali
Interrogato dalla polizia, Ferdinando inizialmente sostenne di non sapere nulla della famiglia da quando era fuggita ai Caraibi. Tuttavia, dopo essere stato rintracciato da due giornalisti della trasmissione “Chi l’ha visto?”, confessò il triplice omicidio. Ferdinando fu quindi estradato in Italia, dove fu giudicato colpevole di triplice omicidio dalla Corte d’Assise di Parma nel 1999. Nonostante ciò, non scontò alcun giorno di prigione, essendo stato ritenuto incapace di intendere e di volere al momento dei fatti. Trascorse il resto della sua vita in una struttura psichiatrica, fino alla sua morte nel 2020.