Il 17 maggio 1972, l’Italia fu scossa dall’assassinio del commissario Luigi Calabresi, un evento che ha innescato un periodo di violenza e instabilità politica noto come gli “anni di piombo”. Questo periodo ha visto un’ondata di attacchi terroristici da parte di gruppi estremisti, culminati con l’omicidio del professore Marco Biagi nel 2002. Dopo un’indagine lunga e controversa, i responsabili della morte di Calabresi sono stati identificati. Tuttavia, il caso ha lasciato un segno indelebile sulla storia italiana.
L’assassinio di Calabresi: un evento che ha cambiato l’Italia
Il 17 maggio 1972, il commissario Luigi Calabresi, un giovane funzionario di polizia di 34 anni, venne brutalmente assassinato in pieno giorno a Milano. L’omicidio ha rappresentato un punto di svolta per l’Italia, segnando l’inizio di un periodo di violenza senza precedenti noto come gli “anni di piombo”. Durante questo periodo, politici, magistrati e forze dell’ordine sono caduti uno dopo l’altro, vittime di una lunga serie di attacchi terroristici. Questo trentennio di violenza si è concluso con l’omicidio del professore Marco Biagi nel 2002, per mano delle Brigate Rosse.
L’indagine sull’omicidio di Calabresi
Dopo l’omicidio di Calabresi, le indagini si sono protratte per anni, con molte piste che hanno portato a vicoli ciechi. Tuttavia, una testimonianza cruciale ha permesso di disegnare un identikit del killer. L’auto utilizzata per l’omicidio è stata trovata abbandonata vicino alla filiale della Banca Popolare di Novara, mentre le indagini sul luogo del delitto non hanno portato a ulteriori dettagli. Solo nel 1988, quattro persone sono state arrestate per l’omicidio di Calabresi, tra cui Adriano Sofri, ex leader di Lotta Continua, e Ovidio Bompressi, indicato come il killer.
Il processo e la condanna degli assassini di Calabresi
Il processo per l’omicidio di Calabresi è stato uno dei più lunghi della storia italiana, con venti sentenze spalmate in 17 anni. Nel 1990, il processo di primo grado si è concluso con la condanna di Sofri, Bompressi e un altro imputato, Giorgio Pietrostefani, a 22 anni di reclusione. Nonostante le numerose richieste di revisione del processo, le condanne sono rimaste invariate. Dopo aver scontato una parte della pena, Bompressi è stato graziato dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, mentre Sofri è tornato libero nel 2009 dopo aver scontato 15 anni di detenzione.