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Il mistero del delitto del bitter: la morte del commerciante di formaggi Tranquillo Allevi

Era una giornata come tante altre, il 24 agosto 1962, quando la vita di Tranquillo Allevi, un commerciante di formaggi di Arma di Taggia, in provincia di Imperia, finì in modo brutale e inaspettato. Allevi, conosciuto da tutti come Tito, fu vittima di un omicidio che passò alla storia come il “delitto del bitter”. Un pacco misterioso, una bottiglia di bitter e una lettera che chiedeva di provare un nuovo prodotto: questi gli elementi di un puzzle che portarono alla morte di Allevi e a un processo che coinvolse l’amante della moglie della vittima.

La scoperta del pacco e l’assaggio fatale

La storia inizia con un pacco che arriva a casa di Allevi. Dentro c’è una bottiglia di bitter, senza etichetta e con un tappo di sughero diverso da quello originale. Accompagna la bottiglia una lettera con l’indirizzo di una famosa ditta di Milano, che chiede a Tito di assaggiare la nuova bevanda. Il pacco viene consegnato a Renata Lualdi, moglie di Allevi, che lo porta nel magazzino del marito. Quella sera, Allevi decide di assaggiare la bevanda insieme a un collaboratore e un altro commerciante di formaggi. Poco dopo, Allevi ha delle convulsioni e muore.

L’indagine e l’arresto del sospetto

Le analisi tossicologiche rivelano la presenza di stricnina, un alcaloide mortale, nella bottiglia. L’indagine si concentra su Renzo Ferrari, un dottore e amante della moglie di Allevi. Ferrari diventa il principale sospettato quando si scopre che la lettera accompagnante la bottiglia è stata scritta con la sua macchina da scrivere. Nonostante Ferrari neghi ogni accusa, viene arrestato il 6 settembre dello stesso anno.

Il processo e la condanna

Il processo inizia il 28 febbraio dell’anno successivo. Ferrari viene condannato a trent’anni di reclusione e al risarcimento dei danni per il socio e i due figli della vittima. In appello, la pena viene aumentata all’ergastolo. Ferrari sconta 24 anni di carcere nell’isola di Pianosa e nel penitenziario di Parma. Nel 1986, riceve la grazia dal presidente Cossiga e muore due anni dopo aver ottenuto la libertà.