Il 19 marzo 2002 è una data che ha segnato un momento drammatico nella storia italiana. In quel giorno, Marco Biagi, un rispettato docente universitario, è stato brutalmente assassinato a Bologna. L’arma usata per commettere l’atto orribile era la stessa utilizzata per uccidere Massimo D’Antona, un altro giurista, nel 1999. Riviviamo insieme questa tragica storia.
La serata fatale del 19 marzo 2002
Quella sera, Marco Biagi, allora docente presso la facoltà di economia di Modena e consulente del Ministero del Lavoro, è tornato a casa dal lavoro come al solito. Aveva appena terminato la sua giornata e stava tornando a casa in bicicletta, dopo essere sceso dal treno alla stazione di Bologna. Durante il tragitto, due individui lo stavano osservando e segnalavano i suoi movimenti ad un gruppo di brigatisti che lo aspettavano sotto casa.
La brutalità dell’agguato
All’arrivo di Biagi, tre brigatisti, due in moto e uno a piedi, si sono avvicinati a lui. Senza alcuna esitazione, hanno sparato sei colpi di pistola a raffica, uccidendo Biagi sul colpo. Nonostante l’intervento tempestivo dei soccorritori del 118, Marco Biagi è morto sul posto. Poco dopo, le Nuove Brigate Rosse hanno rivendicato l’omicidio, inviando un documento di 26 pagine a 500 indirizzi email.
Le lettere di Biagi e il processo
Prima della sua morte, Biagi aveva espresso le sue preoccupazioni riguardo alle minacce che riceveva in diverse lettere indirizzate a figure di spicco, tra cui il ministro del lavoro, Roberto Maroni, e il presidente della Camera, Casini. Tuttavia, pochi mesi prima del suo assassinio, la scorta assegnata a Biagi era stata ritirata dal Ministero dell’Interno.
Il processo per l’omicidio di Marco Biagi ha avuto inizio il 1° giugno 2005. Dopo un lungo dibattito, cinque persone – Simone Boccaccini, Diana Blefari Melazzi, Marco Mezzasalma, Roberto Morandi e Nadia Desdemona Lioce – sono state condannate all’ergastolo. Tuttavia, in appello, la pena di Boccaccini è stata ridotta a 21 anni di reclusione.