Il lato nascosto di Roma: gli itinerari alternativi per non vedere le solite (splendide) cose
Alla scoperta degli angoli più curiosi di Roma: dall’Isola Tiberina a Monte Testaccio, da Fontana di Trevi alla Chiesa di Sant’Ignazio.
Roma non ha certo bisogno di presentazioni. Turisti da tutto il mondo giungono, ogni anno, per visitarla ispirati dal suo fascino millenario e nascosto. Sono molti, infatti, i misteri che aleggiano nella Città Eterna a cominciare dal suo nome le cui origini sono avvolte nella leggenda. Secondo i linguisti Bruno Migliorini e Massimo Pittau, la parola ‘Roma’ deriverebbe dall’etrusco ‘ruma’ che significa ‘mammella’. Questa interpretazione potrebbe riferirsi al Monte Palatino, luogo di fondazione della città, oppure al mito di Romolo e Remo che furono allattati da una lupa.
Un’altra ipotesi etimologica collega il nome all’Isola Tiberina, un’ansa del fiume Tevere che assomiglia a una mammella. Una teoria plausibile considerando che in quel tratto il fiume veniva chiamato ‘Rumon’. Ispirata alla forma di un’antica galea, l’Isola Tiberina fu realizzata artificialmente nel 510 a.C. depositando pietre e covoni nel fiume per consentirne l’attraversamento. Si narra che, durante una grave epidemia, circa due secoli dopo la sua creazione, una nave partì per Epidauro in Grecia con l’intento di invocare il dio della medicina Esculapio. Un serpente, proveniente dal tempio della divinità, si nascose nell’imbarcazione e, al ritorno a Roma, si stabilì nell’Isola Tiberina che fu così consacrata all’arte della medicina. Non a caso, ai giorni nostri, ospita un ospedale.
Sono tante le curiosità che si incontrano passeggiando per Roma. Pensiamo a Largo di Torre Argentina, uno degli scavi più affascinanti della città. Non solo ospita quattro templi, risalenti dal III secolo a.C. al IV secolo d.C., ma fu anche il luogo dove Giulio Cesare fu pugnalato a morte il 15 marzo del 44 a.C. da un gruppo di senatori oppositori. Oggi, la spaziosa piazza è meta di turisti e accoglie una colonia di gatti curati da un’associazione locale. I felini, in passato, venivano nutriti con la trippa poi i fondi scarseggiarono e la loro alimentazione si restrinse. Da qui prese origine la tipica espressione romana “non c’è trippa per gatti”.
Andiamo allora alla scoperta dei luoghi e delle storie più insolite della Capitale, alcune più visibili e altre più nascoste. Lasciamoci travolgere dalle sensazioni, a volte contradditorie, che solo una città con un glorioso passato come Roma può offrire. E, se serve, non esitiamo a guardare attraverso il buco della serratura. Basta recarsi al cancello della Villa del Priorato dei Cavalieri di Malta per ammirare, incorniciata tra i filari del giardino, la Cupola di San Pietro. Avvicinando l’occhio al buco della serratura, il Cupolone si svelerà come d’incanto. Una magia che può accadere solo a Roma!
Il Ponte Fabricio e le prediche coatte
Se ci troviamo sull’Isola Tiberina, per tornare sulla terraferma possiamo attraversare Ponte Fabricio. Si tratta del più antico ponte al mondo che conserva ancora la struttura e i materiali originali di oltre 2.000 anni fa. Un testimone silenzioso che, dopo secoli, è ancora al suo posto per mostrare l’abilità e la saggezza degli antichi. A riprova di ciò, basti pensare che l’amministrazione romana aveva ideato un sistema interessante per garantire la sicurezza dei ponti. Gli appaltatori del lavoro, infatti, erano garanti della costruzione per ben quaranta anni al termine dei quali potevano riscuotere la cauzione versata in anticipo.
Altra piccola curiosità riguarda il secondo appellativo dato a Ponte Fabricio, conosciuto anche come Ponte dei Quattro Capi. Tale nome deriva dalle statue posizionate ai lati della struttura che raffigurano le teste dei quattro architetti. Quest’ultimi litigavano sempre tra di loro così Papa Sisto V decise di farli giustiziare una volta terminato il lavoro. Le loro teste, costrette a condividere lo stesso spazio per l’eternità, furono scolpite come monito.
Subito dopo il ponte ci attende San Gregorio della Divina Pietà, ai tempi San Gregorio al Ponte Quattro Capi. Questa chiesetta ha una storia particolare. Qui, nel 1572, Papa Gregorio VIII impose agli ebrei, confinati nel vicino ghetto, di assistere ad una serie di prediche volte a convertirli al Cristianesimo. Quest’ultime si tenevano persino il sabato! I tentativi di conversione, che andarono avanti per tre secoli, non raggiunsero gli esiti sperati ma lasciarono al luogo il nome di ‘chiesa delle prediche coatte’.
La Bocca della Verità, l’Aventino e la Basilica di Santa Sabina
Da San Gregorio della Divina Pietà, dirigiamoci verso sud-est dove incontreremo la Chiesa di Santa Maria in Cosmedin, nota per ospitare la celebre Bocca della Verità. Questo mascherone di due metri di diametro, simbolo della Roma antica, in realtà fungeva da chiusino di una cloaca oppure, secondo un’altra ipotesi, copriva il pozzo sacro a Mercurio dove i commercianti giuravano la propria onestà nelle compravendite. La leggenda narra che la Bocca della verità sia in grado di smascherare i bugiardi mozzando loro la mano. Pensiamoci la prossima volta che ci faremo fotografare con la mano inserita nel foro che funge da bocca del mascherone.
Proseguendo verso l’Aventino, uno dei colli più suggestivi della Capitale, si possono scorgere i merli verdi svolazzare tra le fronde degli alberi. Forse sono stati loro a dare il nome al colle poiché in latino ‘aves’ significa ‘uccelli’. Continuando a salire, costeggiando il Roseto Comunale, si potrà godere della meravigliosa vista offerta dalla terrazza del Giardino degli Aranci. In origine si chiamava Parco Savelli dal nome della famiglia che lo costruì nel 1932. Mentre si osserva la Cupola di San Pietro, che sembra dipinta nel cielo azzurro, si possono ammirare gli alberi presenti che, in realtà, non sono aranci ma melangoli. Il nome del giardino, tuttavia, non sarebbe stato altrettanto romantico.
Infine, come tappa successiva del nostro itinerario, rechiamoci alla vicina Basilica paleocristiana di Santa Sabina. Entrando nel portico e dirigendoci in fondo a destra, si potrà notare un dettaglio affascinante. L’antico portone, che conserva 18 dei 28 riquadri originali, racchiude la prima raffigurazione mai esistita della Crocifissione di Gesù ma senza la presenza della croce. Questo perché la morte in croce era riservata agli schiavi dunque non era utilizzata come simbolo religioso, almeno per i primi tre secoli del Cristianesimo. L’editto di Costantino del 313 d.C. cambiò tutto sancendo la libertà di culto. Da quel momento, la croce iniziò ad essere raffigurata. Il primo riquadro a sinistra nella fila in alto della porta di Santa Sabina, scolpita nella prima metà del 400, rappresenta al meglio questo periodo di transizione: sì alla crocifissione ma senza mostrare la croce!
Testaccio, l’Angelo del dolore e le tracce dell’antico Egitto
Proseguiamo la nostra passeggiata attraverso Via Marmorata che ci guiderà nel cuore di Testaccio, uno dei quartieri più autentici della Capitale. Il suo nome deriva dal Monte Testaccio, noto anche come Monte dei Cocci (testae, “cocci” in latino). Si tratta di una montagnola, alta 36 metri, formata dalla deposizione di vasi in terracotta usati per il traporto degli alimenti e non riutilizzabili. Le testae di 53 milioni di anfore, provenienti dall’antico porto fluviale Emporium, andarono a formare il colle che dà il nome all’attuale quartiere. Quest’ultimo, in pratica, nacque come una sorta di discarica.
Percorrendo Via Marmorata, presso Porta San Paolo, si arriva al Cimitero Acattolico dove sono sepolti personaggi illustri come Keats, Shelley e Gramsci. Qui si trova una tomba dall’alto impatto emotivo, quella di Emelyn Story tumulata insieme al marito William e al figlio Joseph. Proprio il marito, che era uno scultore statunitense, nel 1894 vi scolpì la statua in marmo e pietra dell’Angelo del Dolore che, disperato e gemente, si accascia sulla lapide. Un monumento funebre commovente che, ad oggi, è uno dei più apprezzati e riprodotti.
Nei pressi del cimitero, poi, si trova un’altra costruzione particolare che ricorda le piramidi egiziane. Stiamo parlando della Piramide Cestia, costruita nel 12 a.C. dal pretore Gaio Cestio Epulone come tomba personale. Non molti anni prima, nel 30 a.C., Roma aveva colonizzato l’Egitto permettendo che l’architettura e la moda esotiche prendessero piede nella città. Gaio Cestio, vittima del fascino egizio, fece costruire il suo monumento funebre in calcestruzzo, con rivestimento interno di mattoni ed esterno di marmo chiaro, dando alla costruzione una forma più snella rispetto alle piramidi classiche. Il tutto per un altezza di poco più di 36 metri su una base quadrata di circa 30 metri per ogni lato. La Piramide Cestia è riuscita a conservarsi fino ai giorni nostri grazie alla sua posizione lungo le Mura Aureliane che, in seguito, furono inglobate nella città come struttura difensiva.
La curiosità più affascinante, tuttavia, riguarda il tempo impiegato per la sua edificazione. Nel suo testamento, il pretore aveva stabilito di terminare la costruzione entro e non oltre i 330 giorni dalla sua morte, pena la perdita dell’eredità per gli aventi diritto. Con questo incentivo non da poco, il sepolcro fu bello e pronto addirittura in anticipo. Mantenendoci sulle tracce dell’Egitto, andiamo ora alla scoperta degli obelischi disseminati per Roma che ne conserva il numero maggiore rispetto al resto del mondo. Molti di essi furono portati nella Capitale nel periodo Augusteo quando i Romani conquistarono la terra dei faraoni.
Si deve al Papa-urbanista Sisto V l’ingente opera di spostamento degli obelischi che abbellivano il Circo Massimo e altri luoghi di intrattenimento. Il Pontefice lì riposizionò nei punti più importanti della comunità come basiliche e piazze. Oggi, tra gli obelischi più belli, possiamo ammirare l’Obelisco Vaticano (a San Pietro), il Lateranense (a San Giovanni in Laterano) e il Flaminio (a Piazza del Popolo) ma anche quelli che si trovano in piazze importantissime come Quirinale, Montecitorio, Trinità dei Monti. Va ricordato anche l’Obelisco Agonale, di 16,53 metri, che fu realizzato all’epoca di Domiziano come copia di quelli egizi originali. Nel 1651, Papa Innocenzo X lo fece spostare dal Circo di Massenzio a Piazza Navona dove domina la Fontana dei Quattro Fiumi, quest’ultima costruita dal Bernini nel 1648.
Le altane, Fontana di Trevi e Campo de’ Fiori
Percorrendo le vie di Roma, si possono scorgere delle torrette terrazzate e finestrate poste sui tetti delle case. Si chiamano altane e, benché presenti in altre città, sono diventate famose nella Capitale per il loro numero elevato. Queste strutture divennero popolari del periodo del ritorno dei papi da Avignone quando la nuova aristocrazia, proveniente da famiglie cardinalizie e papali, iniziò a sentire il desiderio di manifestare il proprio status sociale. Così, come espressione di potenza e superiorità, nacquero le altane. Palazzo Chigi ne ha due, il Palazzo del Parlamento quattro poi ci sono le due altane-torrette di Villa Medici nel Rione Campo Marzio. Tra le più famose c’è ‘il Belvedere’, l’altana del Palazzo del Quirinale costruita da Martino Longhi.
Proprio dal Quirinale, percorriamo la discesa lungo Via della Dataria e poi Via di S. Vincenzo per arrivare a Fontana di Trevi. Pochi sanno che, in realtà, non si tratta di una fontana bensì di una mostra dell’Acquedotto dell’Acqua Vergine costruito nel 19 a.C., l’unico ancora funzionante a Roma. In pratica, una mostra serve a raccogliere le acque di un acquedotto di cui rappresenta la parte finale. Un altro esempio famoso è la Fontana dell’Acqua Paola, nota come Fontanone del Gianicolo. Al giorno d’oggi, la Fontana di Trevi è celebre per La Dolce Vita di Fellini ma, all’epoca, stava a simboleggiare la grande disponibilità di acqua dell’antica Roma.
Veniva usata per rinfrescarsi, bere oppure lavare i panni. Leggenda vuole che se lanci una monetina nell’acqua, con gli occhi chiusi e voltando le spalle alla fontana, tornerai sicuramente nella Città Eterna. Tale gesto potrebbe derivare dall’antica pratica di gettare piccoli doni nei pozzi per ingraziarsi le divinità. Fatto sta che, ogni giorno, la Caritas recupera circa 3.000 euro di monetine. Un tempo, addirittura, le ragazze ne facevano bere l’acqua ai fidanzati in partenza con l’auspicio che tornassero a casa.
Raggiungiamo ora una delle piazze più caratteristiche di Roma: Campo de’ Fiori. Nota per il suo mercato ortofrutticolo, è famosa per le sue tipiche trattorie e per la sua atmosfera vivace. Il suo nome risalirebbe al ‘400 quando era un campo pieno di margheritine e altri fiori che crescevano spontanei. Nonostante quest’immagine idilliaca, la storia della piazza non è altrettanto piacevole. Qui, infatti, venivano eseguite le esecuzioni capitali tra cui, nel 1600, quella di Giordano Bruno. La statua del frate filosofo, condannato perché riteneva il sole al centro dell’universo, si trova al centro di Campo de’ Fiori dove c’era il patibolo della Santa Inquisizione. Venne retta nel 1889 per volontà di alcuni studenti universitari, intellettuali e artisti come simbolo del libero pensiero.
Illusioni ottiche e prospettive impossibili
Concludiamo il nostro itinerario insolito per Roma con due curiosità. La prima riguarda la Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola, costruita in stile barocco in onore del fondatore dell’Ordine dei Gesuiti. Nel 1620, iniziarono i lavori di ampliamento poiché l’edificio era troppo piccolo per svolgere la sua funzione. I fondi terminarono proprio al momento di costruire la cupola che, dunque, non fu mai realizzata. Eppure, camminando lungo la navata centrale e guardando verso l’alto, in prossimità del disco di marmo arancione sul pavimento, appare agli occhi una cupola perfetta dal diametro di 17 metri. Si tratta, tuttavia, di un’illusione ottica dipinta dall’artista gesuita Andrea Pozzo. Infatti, se ci si sposta indietro oppure di lato, l’inganno svanirà. Una sfida prospettica che lascia -decisamente- senza parole.
L’ultima tappa del nostro percorso ci porta a Palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, dove si può ammirare l’incantevole cortile interno e le molte opere rinascimentali esposte nell’omonima Galleria. Nel secondo cortile interno, trova posto la celebre Prospettiva di Francesco Borromini che dona l’impossibile illusione di un colonnato lungo 35 metri ma, nella realtà, misura solo 8.8 metri. Il Cardinale Spada volle quest’opera per rappresentare la capacità della vita mondana di ingannare i sensi allontanando dal divino. Borromini rese l’idea adottando le regole della prospettiva solida accelerata: la confluenza dei due colonnati, le colonne più lontane che si rimpiccioliscono, il pavimento che appare in leggera salita. Il risultato è stato straordinario come straordinaria, d’altronde, è la nostra Capitale.