L’attrice era malata oncologica terminale: domani il figlio, Perduca e Cappato si autodenunceranno spontaneamente ai Carabinieri.
L’attrice e regista Sibilla Barbieri, che lottava contro una forma terminale di cancro, ha scelto di porre fine alla sua vita in Svizzera attraverso il suicidio assistito, secondo quanto riferito dall’Associazione Coscioni. La donna, che era anche consigliera dell’associazione, ha compiuto questo viaggio all’estero dopo che la Asl romana aveva rifiutato di concederle l’assistenza medica per il suicidio volontario.
Sibilla Barbieri è stata accompagnata in Svizzera da suo figlio e dall’ex senatore radicale Marco Perduca. Entrambi si costituiranno spontaneamente domani mattina presso la stazione dei carabinieri Roma Vittorio Veneto e rischiano una pena detentiva fino a 12 anni. Anche Marco Cappato si costituirà, in quanto rappresentante legale dell’Associazione Soccorso Civile, che ha organizzato e sostenuto il viaggio di Sibilla Barbieri. Ad accompagnarli Filomena Gallo, avvocato difensore e segretario nazionale dell’associazione.
A metà settembre, come ricorda l’Associazione Coscioni, la Asl romana aveva negato l’approvazione di usufruire dell’aiuto medico alla morte volontaria, sostenendo che Sibilla Barbieri non soddisfaceva i quattro requisiti stabiliti dalla sentenza Cappato\Dj Fabo della Corte costituzionale per accedere legalmente al suicidio assistito. In particolare, la commissione medica aveva stabilito che la donna non era dipendente da trattamenti di supporto vitale.
Nel suo ultimo video pubblicato online prima del viaggio, la regista aveva commentato: “Questa è una discriminazione gravissima tra i malati oncologici e chi si trova anche in altre condizioni non terminali. Per questo ho deciso liberamente di ottenere aiuto andando in Svizzera perché possiedo i 10mila euro necessari e posso ancora andarci fisicamente. Ma tutte le altre persone condannate a morire da una malattia che non possono perché non hanno i mezzi, perché sono sole o non hanno le informazioni, come fanno? Questa è un’altra grave discriminazione a cui lo Stato deve porre rimedio”.