Scavi archeologici, reperti e storia: la Metro C di Roma come una macchina del tempo, da Venezia a “la grande Bellezza”.
A 45 metri sotto il livello della strada, si sta aprendo un mondo sotterraneo dove la tecnologia più all’avanguardia spinge per rivelare al mondo tesori rimasti sepolti per secoli mentre si sta realizzando un’opera titanica: la tratta C della metropolitana romana, tra antiche rovine e reperti che spuntano come funghi, è arrivata ad una delle sue stazioni strategiche, quella di piazza Venezia.
Certo, ci sono voluti 13 anni per arrivare fin qui e riuscire a trasformare questo faraonico progetto in realtà sta costando una valanga di quattrini (700 milioni di euro) e tonnellate di ansiolitici per pendolari, residenti, tassisti e tutti quelli che hanno una responsabilità amministrativa e di governo: traffico impazzito, cantieri aperti, trasferimenti perigliosi come in una gara di sopravvivenza, con la viabilità che cambia dalla sera alla mattina e servizi di mobilità a singhiozzo.
Se, però, anche solo una metà delle promesse espresse da questo progetto fosse mantenuta, sarebbe comunque un’opera stupefacente, degna della protezione dell’Unesco, semmai questa organizzazione esistesse ancora quando sarà completata, si prevede – e si spera – nel 2032.
Nel cuore di Roma, di eterna non c’è solo la città, ma anche i lavori per questa benedetta Metro C e la sua stazione più rappresentativa, Venezia, destinata a diventare un vero e proprio Museo tra i Musei.
Attraverso 3 ingressi, la stazione Venezia collegherà i più importanti palazzi museali del centro della Capitale e, con gli scavi fino ad 85 metri di profondità, per realizzare i muri perimetrali di contenimento della base ferma a 40 metri più in alto, il sottosuolo sarà sezionato come una fetta di torta, mettendo a nudo strati e strati storia sedimentati, con tutto quello che vi è contenuto. Cosa? Le aule degli Auditoria di Adriano, tanto per dirne una, che dovranno essere recuperate ed ospitate nella stazione, per la gioia degli occhi di romani e ospiti.
Dallo scorso 21 ottobre sono iniziati i lavori per questo tratto di linea della metro C compresa tra il Vittoriano, i Fori Imperiali e Palazzo Venezia che, entro i prossimi 8 anni dovrà aprire alla pubblica fruizione 110 metri di banchine ma, soprattutto, dovrà consentire di poter arrivare a completare gli ulteriori 26 chilometri che costituiranno l’ultima parte dell’intera linea della metro C, bloccata, adesso, a San Giovanni mentre, a lavori ultimati (tutti), vedrà il nuovo capolinea in Clodio/Mazzini.
Un obbligo per la viabilità Capitolina di superficie, ormai troppo congestionata per essere praticabile e, men che meno, sostenibile e, al contempo, la necessità di portare alla luce opere e testimonianze di valore inestimabile di cui tutti, ma proprio tutti, devono poter godere. Così Venezia è destinata a diventare una archeostazione, una teca superba di tutto il patrimonio storico e monumentale che già è emerso – ma più ancora quello che emergerà –, per lo stupore di tutti coloro che dovranno, semplicemente, salire su un vagone della metro.
Un museo sotto terra al quale, come detto, si accederà da tre ingressi che connetteranno direttamente con i poli museali circostanti, a cominciare dai locali sotterranei di Palazzo Venezia, attraverso due scale mobili, una fissa ed un ascensore vetrato per non perdersi neanche un particolare; il livello dei resti dell’Ateneo di Adriano sarà raggiungibile con le scale mobili (sempre due) e quella fissa e un altro ascensore vetrato per arrivare, attraverso un cunicolo interrato, fino al Parco Archeologico dei Fori Imperiali; infine l’area museale del Vittoriano, con un percorso di discesa aperto che collegherà direttamente con il primo livello interrato della stazione e, da lì – al sicuro dal traffico di superficie – si potrà raggiungere il polo museale del Vittoriano attraverso una galleria.
Accessi indipendenti all’atrio della stazione sono ampiamente previsti, per consentire ai passeggeri di muoversi in totale libertà attraverso scale, ascensori, gallerie, percorsi di discesa aperti e privi di barriere architettoniche: mobilità assicurata e una passeggiata nella storia che farà riscoprire l’antico e originale tracciato della via Flaminia che, dal 220 a.C. attraversa l’Urbe da nord a sud.
Se la bellezza è davvero ciò che ci salverà, allora questi lavori sono imprescindibili, perché di gratia e beltade non si può essere mai sazi, costi quel che costi. E “La grande bellezza” di Roma val bene un po’ di sofferenza …