Cronaca

Caso Regeni, la Consulta sblocca il processo contro gli 007 egiziani

Un presidio per invocare giustizia per Giulio Regeni. Immagine repertorio. Roma-CronacaLive.it

Respinta dalla Corte Costituzionale la questione di legittimità. Gup Ranazzi:”L’ostruzionismo da parte di un governo non può impedire un processo

Mancano ancora le motivazioni ma, per ora, basta la sentenza della Consulta per sbloccare il processo Regeni, impantanato da anni sulla questione di legittimità oggi risolta. Il corpo senza vita del ricercatore italiano dell’università di Cambridge, Giulio Regeni, rapito, torturato ed ucciso mentre si trovava a Il Cairo, fu ritrovato il 3 febbraio 2016 nei pressi di una prigione di servizi segreti egiziani.

La Corte Costituzionale, riunita in camera di consiglio, ha deliberato dichiarando illegittimo l’articolo di procedura penale (420 bis, comma 3) che non consente al giudice di procedere se gli autori della tortura non sono perfettamente a conoscenza del procedimento a loro carico perché il loro Stato di appartenenza non li assiste ed è quindi impossibile raggiungerli per le notifiche formali.

Questo, in sintesi, il cavillo procedurale dietro al quale, per anni, il governo egiziano ed i quattro 007, accusati di aver atrocemente torturato Giulio Regeni fino ad ucciderlo, si sono nascosti per evitare il processo a loro carico, in una forma di ostruzionismo che ha impedito alla giustizia di compiersi in un chiaro verdetto.

Avevamo ragione noi – è il commento dei genitori di Giulio Regeni – ripugnava al senso comune di giustizia che il processo per il sequestro le torture e l’uccisione di Giulio non potesse essere celebrato a causa dell’ostruzionismo della dittatura di al-Sisi per conto della quale i quattro imputati hanno commesso questi terribili delitti”. 

Famiglia Regeni: “Abbiamo dovuto resistere 7 anni e mezzo contro la volontà del governo egiziano”

Un presidio per Giulio Regeni a Trieste, sua città natale. Immagine repertorio. Roma-CronacaLive.it

In attesa che le motivazioni del verdetto della Corte siano depositate, nelle prossime settimane, una nota della Consulta informa che “la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 420-bis, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice procede in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura definiti dall’articolo 1, comma 1, della Convenzione di New York contro la tortura, quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell’imputato, è impossibile avere la prova che quest’ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo, fatto salvo il diritto dell’imputato stesso a un nuovo processo in presenza per il riesame del merito della causa”. 

E poiché, in questi anni, Il Cairo si è sempre rifiutato di fornire alla procura l’indirizzo dei quattro accusati, il processo è rimasto in un limbo, dal quale solo ora potrà emergere e compiersi.

Così il gup di Roma, lo scorso 31 maggio, ha chiamato in causa la Consulta, accogliendo le richieste del procuratore capo Francesco Lo Voi e dell’aggiunto Sergio Colaiocco, i quali vedevano il processo affondare nelle sabbie mobili perché non è mai stato possibile notificare formalmente agli imputati la loro condizione.

Coperti dall’inerzia del proprio governo, il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, accusati a vario titolo di sequestro di persona pluriaggravato, lesioni aggravate e concorso in omicidio aggravato, dormivano, quindi, sonni tranquilli.

La decisione della Corte costituzionale ha, invece, strappato al procuratore capo Lo Voi una reazione di “grande soddisfazione per la possibilità di celebrare un processo secondo le nostre norme costituzionali che restano il faro del nostro lavoro. Per il resto – ha concluso il magistrato – aspettiamo le motivazioni per vedere come procedere sperando di trovare la parte civile al nostro fianco nelle fasi successive”.

In effetti – sottolineano di familiari di Giulio Regeni – come ha scritto il Gup Ranazzi nella sua ordinanza ‘non esiste processo più ingiusto di quello che non si può instaurare per volontà di un’autorità di governo‘. Abbiamo dovuto resistere contro questa volontà dittatoriale per sette anni e mezzo confidando comunque sempre nei principi costituzionali della nostra democrazia“.